Sinossi:
So-hwi è in apparenza la tipica studentessa di college, disperatamente infatuata di Joon-mo, un ragazzo che la ignora totalmente perché attratto dalle donne più grandi, per di più in uniforme. Ma So-hwi è anche abilissima nelle arti marziali, un dono che cerca di mantenere nascosto per non essere discriminata all’interno della scuola.La ragazza discende da una famiglia che le pratica da molte generazioni, ma vuole lasciarsi alle spalle quest’eredità così ingombrante e vivere una vita normale. Un giorno Il-yeong, suo amico d’infanzia, si trasferisce nella sua scuola e cerca di convincerla a riprendere gli allenamenti. All’orizzonte si profila infatti una terribile minaccia: il ritorno del malvagio Heukbong che, armato di una spada leggendaria, vuole uccidere i Quattro Maestri e dominare il mondo delle arti marziali.
Recensione Film:
Il film si apre (e si chiude) con una rappresentazione teatrale nella scuola di So-hwi, in cui la ragazza interpreta il ruolo della “mighty princess”, della principessa forzuta, che grazie ai suoi superpoteri riesce a resistere agli attacchi dei cattivi, che le spaccano sulla schiena assi di legno e bottiglie di vetro in testa: vestita come una surreale Biancaneve, la ragazza suo malgrado deve servirsi della sua straordinaria capacità fisica. La “sassy girl” ha trasformato la sua irruenza nel comportamento e nella relazione con gli uomini in una forza tout court, in un dominio del corpo altrettanto surreale e parossistico, che le consente di evitare (in una parodia di Matrix) un disco da hockey o di dividere a suon di sganassoni una lite sul campo. Oltre che, naturalmente, sconfiggere una serie di villains delle arti marziali e inseguire una spada leggendaria a metà tra Kill Bill e La tigre e il dragone. Dopo aver “stabilizzato” il suo modello narrativo con My Sassy Girl intorno alla figura della “ragazza sfacciata”, e averlo declinato diversamente nei due film successivi, Kwak Jae-young ha sentito il bisogno di dare nuova forza e nuova linfa alla propria “creatura perfetta”. In My Mighty Princess, l’evoluzione è tutta nel segno dell’ibridazione: di generi e di immaginari. Il punto di partenza è quello della commedia adolescenziale romantica che ha costruito il suo successo, e in questo caso la relazione tra ragazzo e ragazza si raddoppia e si complessifica: in chiave sentimentale, tra So-hwi e il suo innamorato giocatore di hockey, ma anche in chiave amichevole (e più scanzonata) tra la ragazza e il suo amico Il-yeong. Rispetto ai due film precedenti, è proprio questo nuovo livello del racconto, senza implicazoni romantiche, a rappresentare la prima inserzione di novità: i due ragazzi si comportano e agiscono come una persona sola, come due facce della stessa identità femminile. La scena in cui devono debellare un gruppo di criminali che ha messo in scacco il bel giocatore di hockey, e si disegnano dei baffi con il pennarello per nascondere la loro identità, rende perfettamente questa nuova matrice ludica della costruzione del personaggio. Non è un caso se, per imparare le mosse che la condurranno alla vittoria, So-hwi consulta un manuale in cui le pose e i movimenti sono raffigurati usando come “modello” il personaggio di un cartoon: in modo ancora più esplicito dei film precedenti, qui la protagonista è, a tutti gli effetti, un pupazzo in carne ed ossa, un manga al quale è stata conferita la facoltà di muoversi nel mondo. Tutti i personaggi che compongono questa nuova e particolare scena, dai criminali ai compagni di lotta, hanno una forte connotazione ludica e caricaturale, che smorza la generale tensione al dramma. Perché My Migthy Princess è anche un film d’azione, in cui Kwak riversa tutte le competenze di genere apprese nella sua frequentazione hongkonghese. Le scene di wuxia, coreografate da Dion Lam (maestro del genere, che ha lavorato con tutti i più grandi in patria negli anni ’90, prima di approdare alla produzione internazionali, a partire proprio da Matrix, al quale qui fa un omaggio che è anche una simpatica autoparodia) e da Kim Yong-soo hanno preso il posto dei combattimenti “sentimentali” dei film precedenti, e rappresentano una specie di ghiotto bonus track all’interno del film. È stupefacente il modo con cui Kwak si è appropriato dei codici della rappresentazione di genere, e la libertà con la quale mescola i due mondi: il risultato è quello, come sempre, di una grande generosità narrativa e immaginativa, in cui scampoli di cinema “d’altro mondo” si inserisce su un’ossatura assolutamente famigliare al pubblico.
Questa volta, i ragazzi innamorati di Kwak, non si limitano a volare con l’immaginazione o con il pensiero, ma lo fanno davvero.