Sinossi:
Jong-du esce di galera dopo aver scontato una pena per omicidio colposo. È inverno, ma lui veste una camicia con maniche corte; nessuno è venuto ad accoglierlo all’uscita di prigione. Cerca di rintracciare la sua famiglia, ma non trova nessuno. Solo quando viene portato al commissariato per non aver pagato il conto di un ristorante, la polizia riesce a metterlo in contatto con il fratello minore. Jong-du viene quindi accolto dalla sua famiglia, che aveva cercato di dimenticarlo e allontanarlo, con grande freddezza. Questo nonostante Jong-du si fosse offerto di scontare la pena che sarebbe dovuta toccare al fratello maggiore Jong-il che aveva, due anni e mezzo prima, investito un uomo ed era fuggito senza soccorrerlo. Jong-du che pare un po’ ritardato, ma ha buon cuore, decide di rendere visita ai familiari dell’uomo ucciso dal fratello. Nell’appartamento della famiglia, Jong-du trova, però, soltanto una donna gravemente disabile, abbandonata a se stessa, Gong-ju. I familiari della donna ne sfruttano, infatti, i sussidi e abitano nel nuovo appartamento concessole dal governo, ma l’hanno lasciata sola nella vecchia casa. Contro ogni attesa, tra i due nasce una tenera storia d’amore.
Recensione Film:
Oasis fu il film più acclamato e premiato alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 2002; vinse, tra gli altri, il premio per la miglior regia, il premio Mastroianni all’interprete femminile Moon So-ri e il premio della critica internazionale. Con questo film coraggioso e straordinario, Lee Chang-dong ha conquistato un grandissimo consenso presso la critica internazionale, firmando un capolavoro capace di coniugare perfettamente spessore artistico e consenso del pubblico.
In Oasis, Lee prende le mosse da un soggetto tagliagola, l’amore tra due emarginati, un asociale borderline appena uscito di galera e una paraplegica, che altrove avrebbe prodotto lacrimosità ricattatorie e politically correct, e lo tratta senza la minima concessione al pietismo scontato, anzi con la crudezza dell’inventare una relazione sincera e affettuosa nata da un tentativo di stupro. Una premessa drammaturgica provocatoria che Lee sfrutta per muovere un impietoso, e forse ancor più provocatorio attacco contro il perbenismo e l’ipocrisia dell’istituzione familiare coreana. Grazie all’apporto fondamentale e irrinunciabile di Seol Kyeong-gu (Jong-du) e Moon So-ri (Gong-ju), due interpreti così disumanamente bravi da far dimenticare, liquidare annichilire molte grandi prove da Oscar di qualsivoglia star hollywoodiana, Lee riesce ad avvicinare lo spettatore a due personaggi di primo acchito tutt’altro che attraenti, anzi francamente sgradevoli, che rifiutano la facile identificazione. Quasi senza accorgersene, dopo un po’ ci si ritrova ad appassionarsi per la sorte di Jong-du e Gong-ju, ad indignarsi per le loro sofferenze e a commuoversi per la tenerezza sincera del loro rapporto. Sebbene Lee, come di consueto, sia refrattario a qualsiasi compiacimento melodrammatico e pervicacemente incline a non fornire allo spettatore appigli alla facile commozione, Oasis è sicuramente la più toccante storia d’amore del cinema coreano recente. Un risultato che Lee raggiunge spingendosi in taluni momenti ad una dilatazione della disperazione insostenibile (la scena al commissariato, il prefinale), eppure lontana mille miglia dalla mera e infestante pornografia del dolore, e soprattutto riscoprendo l’incanto di un cinema che sa dar corpo ai sogni. In Oasis ombre e luce sono magicamente trasfigurati; l’amore muta le spastiche convulsioni di un corpo indesiderabile in movimento, abbraccio, danza dando corpo alle fantasie di ‘normalità’ di Jong-du e Gong-ju.