Sinossi:
Busan 1976. Quattro amici adolescenti, che si frequentano fin da bambini, imparano a conoscere la legge della strada guardando i film con Bruce Lee e vivendo in prima persona la piccola violenza quotidiana. Joon-suk, in particolare, esercita un certo fascino sugli altri tre essendo figlio di un boss della malavita. Autunno 1990. I quattro sono cresciuti. Joon-suk ha deciso di seguire le orme del padre e gestisce traffici di vario genere; Dong-su, invece, si è legato alla gang rivale a quella dell’amico. Sang-taek e Joong-ho assistono impotenti alla guerra che si scatena tra i due ex-amici.
Recensione Film:
PROLOGO
Nella presentazione dell’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia, Alberto Barbera proponeva un’interessante distinzione tra film “evento” e film “avvenimento”, chiedendosi quale potrebbe essere il loro ruolo all’interno di un festival cinematografico. Barbera definisce i film avvenimento come “i pochi capaci di rimettere in discussione il cinema così com’è”. Ebbene, se i festival cinematografici hanno ancora motivo di esistere (e le posizioni a proposito sono contrastanti), questo non può che essere la ricerca e la proposta di quelle opere destinate a lasciare il segno e capaci di modificare alcune realtà filmiche e profilmiche preesistenti. L’ultimo Festival di Torino ha adempiuto in maniera egregia ai “doveri” di un festival, offrendo nelle sezioni competitive (ma non solo) autori ed opere davvero convincenti. A mio modesto parere, Friend del coreano Kwak Kyung-Taek è stato il miglior lavoro proposto nel concorso lungometraggi; definire quest’opera un film “avvenimento” nel significato proposto da Barbera è una sopravvalutazione, non c’è dubbio, ma parlare di Friend come di un punto di svolta nella storia del cinema coreano e nella fruizione che esso potrà avere nel resto del mondo, è un’affermazione pienamente giustificabile.
CINEMA COREANO: LA SVOLTA?
Friend è infatti il film dei record: al botteghino coreano ha letteralmente polverizzato qualunque dato d’incassi precedente, registrando in pochissimi mesi un’affluenza di pubblico mai vista prima (oltre sei milioni di spettatori). Ma, cosa più importante, questo enorme successo ha anche attirato l’attenzione di grandi compratori internazionali; da quest’opera in poi quindi, la Corea diventa prezioso “serbatoio cinematografico” per le grandi case di distribuzione, pronte a far conoscere le opere dei maggiori talenti anche al di fuori dei confini coreani. Questa nuova attenzione verso la Corea si deve anche ai festival di cinema, che hanno grande merito nella veicolazione di cinematografie ingiustamente considerate “minori”. Se, ad esempio, per ben due anni consecutivi, il Festival di Venezia ha posto sotto i riflettori il (grande) regista coreano Kim Ki-duk, altri festival internazionali (tra i quali è annoverabile Torino), hanno fatto scoprire Kwak Kyung-Taek. Nei diversi festival in cui è stato presentato (Vancouver, Montreal, Londra, Hollywood ecc.), Friend è stato definito come il simbolo del rinascimento dell’industria cinematografica coreana.
KWAK KYUNG-TAEK
E pensare che all’inizio il regista ebbe notevoli difficoltà a trovare dei finanziamenti per produrre la sua opera terza. Kwak Kyung-Taek è nativo di Pusan, la seconda città coreana per grandezza, ma è newyorkese per quanto riguarda la sua formazione cinematografica. Debuttò nel lungometraggio nel 1997 con 3 P.M. Paradise (girato in due settimane in una casa di Pusan), che fu invitato a numerosi festival; il regista ebbe poi un nuovo apprezzamento da parte della critica con la sua opera seconda, datata 1999, Dottor K, una sorta di horror romantico.
IL FILM
Nel 2000 è stata la volta di Friend, opera che convince sotto tutti gli aspetti e che riesce nel difficile tentativo di aggiungere qualcosa di nuovo all’ormai saturo genere dei film riguardanti la lotta tra gruppi mafiosi. Pur essendo centrali i macabri giochi di potere tra le bande rivali, è l’amicizia e gli stretti rapporti che questa può produrre, a sviluppare e sorreggere l’intera narrazione. La visione della lotta di mafia, infatti, non è diretta ed impersonale, bensì è fortemente filtrata dal ricordo e dall’opinione di uno dei protagonisti, la cui voce fuori campo collega e commenta le immagini della sua stessa memoria. Questa serie di ricordi ripercorre la storia dell’amicizia tra il protagonista ed altri tre coetanei. E’ infatti doveroso far notare come Friend sia un testamento, un omaggio che il regista ha voluto fare a tre amici d’infanzia realmente vissuti. La storia narrata sullo schermo coincide quasi totalmente con quella vissuta dal regista; il personaggio di Sang-taek, il più benestante tra i quattro amici che va a studiare all’estero, rappresenta lo stesso regista. Nel film, il quadrato iniziale composto dagli amici, si scinde in due parti con il passare degli anni: due si avviano, separatamente, verso la malavita, e gli altri due assistono impotenti alla guerra che si scatena tra gli amici ora rivali tra loro. In quest’ opera l’amicizia è il valore fondamentale tanto da trascendere il bene e il male. A differenza di altre produzioni riguardanti i clan mafiosi del Sol Levante, manca quella forte componente nichilista come se fosse stata omessa dai ricordi dell’amico, estraneo alla malavita; viene però mantenuto quell’inestricabile rapporto tra violenza e poesia tipico del cinema coreano e giapponese. Dal punto di vista stilistico l’opera si colloca a metà tra i film jakuza di Kitano e, nelle sequenze più travolgenti, i canoni dei film d’azione. Si alternano momenti caratterizzati da un montaggio molto dinamico, dall’uso del ralenti e del fermo immagine (che mostrano la grande abilità del regista nel dirigere scene convulse e di massa) a momenti in cui il dialogo (molto curato) sorregge la struttura narrativa. Oltre a creare un “testamento” delle esperienze dei sui amici, Kwak Kyung-Taek offre anche un magnifico ritratto della sua nativa Pusan. La seconda città della corea qui è presentata in una rara bellezza. Ciò è anche dovuto alla splendida fotografia firmata dall’esordiente Hwang Ki-seok, capace di porre in forte contrasto cromatico le scene ambientate durante l’infanzia degli amici con quelle della loro giovinezza ed età adulta. “Non mi piacciono né i melodrammi commoventi né i thriller che ti fanno venire il batticuore. Vorrei che questo mio film colpisse gli spettatori stimolando ogni cellula del loro corpo e che non fosse semplicemente un divertimento per gli occhi” (Kwak Kyung-Taek).