Synopsis:
Kyung-jin è una poliziotta sfrontata e “sfacciata” che incontra un timido professore di liceo, Myung-woo, dopo averlo catturato perché lo crede il colpevole di un furto: in realtà il ragazzo stava cercando di inseguire il rapinatore, e proprio le sue indicazioni condurranno all’arresto. Kyung-jin si “appropria” del ragazzo: per sbaglio rimangono legati con un paio di manette e si ritrovano spesso a fronteggiare insieme i criminali. Nel frattempo, si innamorano e si amano. Proprio in uno di questi scontri a fuoco, la ragazza uccide accidentalmente il suo amato, e piomba in una terribile depressione suicida. Il suo unico scopo è “raggiungere” Myung-woo: tenta di uccidersi e affronta tutti i casi con assoluto sprezzo del pericolo. Proprio quando sembra sul punto di morire, è il fantasma di Myung-woo che la convince a continuare a vivere.
Film Review:
La tentazione di vedere in Windtruck una continuazione di My Sassy Girl è fortissima, e quasi inevitabile. O meglio, un prequel: Kyung-jin (interpretata ancora mirabilmente dalla splendida Jun Ji-hyun) perde il suo amore e finisce in una spirale autolesionista, e proprio nel finale del film incontra sulla porta di un vagone della metropolitana, un ragazzo dall’aspetto gentile… Sempre più esplicitamente Kwak gioca con il suo stesso cinema, e lancia allo spettatore ammiccamenti e strizzate d’occhio: se in My Sassy Girl il divertimento era quello di “rifare” grandi film del passato prossimo (da Ashes of Time a Matrix), qui si tratta molto più semplicemente di rifare se stessi. Tutta la prima parte, con il “coinvolgimento” coatto di Myung-woo sembra un remake del successo di qualche anno prima: i due protagonisti si conoscono in una circostanza fortuita (ah…il caso!), in cui è ancora l’uomo in qualche modo a “provvedere” alla donna (che in questo caso è ancora più “forte” e determinata, nei panni di una poliziotta anticonformista e senza paura), e scoprono di amarsi. Qualche tratto di grande romanticismo visivo: non tanto il ballo sotto la pioggia (elemento di continuità con tutti i film precedenti), o il racconto della regina e del cavaliere che si riconoscono soltanto tenendosi per il mignolo. Ma la scena in cui si lavano di fronte allo specchio con i polsi stretti da un paio di manette, costretti ad accompagnare uno i movimenti dell’altro e a indossare gli abiti che l’altro si sta togliendo, è un piccolo gioiello. Come sempre immediato, diretto, coinvolgente. Quando poi Kyung-jin va a trovare il professore di fronte alla sua classe tutta al femminile e rivela alle ragazze che lui è “il suo ragazzo” e che “hanno dormito insieme”, l’eco di My Sassy Girl è così forte da non lasciare spazio, apparentemente, alla novità. Ma è nella seconda parte del film che, letteralmente “la ragazza” cresce: prima di tutto perché uccide, fisicamente (anche se in un tragico incidente: ah…il caso!), l’oggetto del suo amore, e perché piomba in un’allucinazione suicida. Ma con straordinari effetti ironici: l’incontro con i due ragazzi che, in qualche modo, riescono a dissuaderla, e poi il volo fermato da una grande mano gonfiabile che vola nel cielo. La morte di Myung-woo evoca nella ragazza il dolore per la morte della sorella gemella, con la quale si scambiavano i ruoli (e proprio in uno di questi scambi avviene l’incidente d’auto che ne provoca la morte), e quindi produce altro senso di colpa: Kyung-jin è la “sorella gemella” della “ragazza” di My Sassy Girl. L’ha uccisa e ha provocato la morte del suo amato (e di quella della “sorella nell’altro film”): Kwak sa bene come ciascuna di queste concordanze generi una specie di potenziamento del piacere della visione. Ma trova una via di fuga per la sua eroina: e la fuga è quella verso il fantastico. Myung-woo ritorna come fantasma: un fantasma di vento che fa volare aerei di carta e fa girare vorticosamente piccole girandole oppure le pagine di un libro che generano una romantica animazione. Da questo vento si viene trasportati fino alla fine del film, in una sarabanda di citazioni e di “giochi di parole cinematografici”, che fanno la cifra del regista e del suo cinema. Cinema d’amore e d’amore per il cinema.