Synopsis:
Mak-dong ha appena completato il servizio militare. Sul treno che lo riporta verso casa, ad Ilsan, raccoglie il foulard perso da una donna, Mi-ae. Salva quest’ultima dalle pesanti attenzioni di un gruppo di bulli, che però lo pestano a sangue. Si vendica utilizzando impropriamente la targa di riconoscimento per il congedo.
Una volta rientrato a casa, Mak-dong si rende conto del progressivo inurbamento dell’area rurale in cui viveva e scopre che in casa le cose non vanno come vorrebbe: l’anziana madre è ancora costretta ad accettare lavori come donna delle pulizie, la sorella lavora in un caffè equivoco, il fratello maggiore che fa il poliziotto ha problemi con l’alcool e litiga continuamente con la moglie, un altro fratello vive poveramente vendendo uova, mentre l’ultimo fratello, disabile, vive a carico della madre. Nonostante le sue vanterie, Mak-dong non riesce a trovare un lavoro.
Riceve, però, un giorno una chiamata da Mi-ae che lo invita a Seoul. Lì, scopre che la donna si esibisce come cantante nel nightclub News. Si fa nuovamente pestare a sangue per lei, allorché cerca di proteggerla dagli sgherri del boss Bae Tae-gon di cui la donna è l’amante. Per intercessione di Mi-ae, Tae-gon decide di dare a Mak-dong una chance e lo fa entrare nella sua impresa. Ma l’infatuazione per la donna del boss e il suo cuore puro e ingenuo saranno fatali a Mak-dong…
Film Review:
L’opera prima di Lee Chang-dong sfrutta i modi del cinema di genere per raccontare la disfatta di un eroe romantico, emblema di un maschile ingenuo e fragile, che si confronta con il cambiamento della società e la dura realtà della malavita. Il protagonista Mak-dong (interpretato da un ottimo Han Seok-gyu) è un personaggio incapace di adattarsi all’ambiente che lo circonda, costantemente ignaro delle regole di una partita in cui non è giocatore, bensì mera pedina. In maniera manifestatamente simbolica, Green Fish si apre con Mak-dong che torna a casa dopo aver espletato il servizio di leva; egli ha completato un importante rituale di passaggio, è ormai un uomo adulto e deve inserirsi nel sistema della società e dell’economia. Altrettanto significativamente, questo viaggio d’ingresso nella fase matura della sua vita è segnato dal desiderio; raccogliendo il foulard di Mi-ae, Mak-dong riceve un imprinting che gli sarà infine fatale. Ancor più apertamente metaforica è poi la chiusa di questo segmento: Mak-dong usa la targa del congedo militare (significante dell’autorità statale nazionale, ma anche del retaggio militare-fascista di un paese governato per decenni da generali) per colpire gli assalitori di Mi-ae; poi, cerca di fuggire, ma perde il treno (il primo dei diversi treni del cinema di Lee Chang-dong…).
Mak-dong non sa darsi ragione del progressivo sviluppo edilizio della sua città (laddove c’erano alberi d’acacia ora sorgono casermoni di cemento); egli è la personificazione del maschio tradizionale coreano, legato al sistema patriarcale della vecchia Corea rurale. Spavaldo di fronte allo specchio, vanta il proprio ascendente sulle donne e, con la promessa di trovare prontamente un lavoro, invita l’anziana madre a non accettare più lavori come donna delle pulizie. Mak-dong crede ancora che sia l’uomo a dover mantenere la famiglia. Eppure la realtà della sua stessa famiglia lo smentisce flagrantemente: la sorella che lavora per una caffetteria che fa consegne a domicilio (certo non solo di caffè…) è probabilmente colei che guadagna meglio; dei fratelli, uno è disabile e vive a carico della madre, l’altro guadagna miseramente vendendo uova, l’ultimo lavora come poliziotto, ma è alcolizzato e fa la disperazione della moglie che gestisce un ristorante.
Ovvio che quando Mak-dong parte con questa visione del mondo alla volta della metropoli di Seoul, guidato dall’infatuazione per Mi-ae, difficilmente potrà comprendere le regole e gl’inganni di una realtà che non rispetta le debolezze e le ingenuità che discendono dai suoi valori e convinzioni.
Con quest’opera prima di grande ricchezza testuale Lee Chang-dong conobbe un’ottima accoglienza da parte della critica coreana che vide in Green Fish una diretta filiazione del ‘realismo sociale’ cinematografico di grandi autori coreani degli anni Sessanta, quali Yu Hyun-mok e Lee Man-hee.