Synopsis:
Prossimo futuro, fine del mondo. La Terra coperta di neve. Tutti morti, tranne i viaggiatori di un treno in moto perpetuo, dove migliaia di poveracci vivono come nei lager, a beneficio di pochissimi. Inevitabile la rivolta. Bong Joon-ho, semidio del cinema coreano, immagina la rivoluzione come un videogame, con livelli di difficoltà crescenti ad ogni vagone, virtuosismi di regia, e vertiginosi deragliamenti di tono, dal tragico al grottesco al Grand guignol.
Film Review:
Un budget di quaranta milioni di dollari, un cast internazionale, il premio come miglior regista ai Blue Dragon Awards, riprese effettuate anche in Europa – a Praga e in Austria – oltre che in Corea e a Los Angeles. “Snowpiercer” è un prodotto ambizioso, un traguardo raggiunto per il regista Bong Joon-ho. Nasce da una graphic novel: “Le Trasperceneige” di Jacques Lob, Benjamin Legrand e Jean-Marc Rochette. Bong Joon-ho se ne innamorò dieci anni fa. L’idea di un gruppo di persone che combatte per sopravvivere all’interno di un treno lo affascinò immediatamente. C’è voluto un decennio perché gli fosse possibile realizzarlo.
Ma non pensiamo ai soldi che è costato. Pensiamo a che cosa il film racconta. A che cosa ci dà. La storia di una nuova Arca di Noè, un’arca che viaggia su rotaie, sulla pelle di una Terra ghiacciata, che non può dare più niente all’umanità. Un’Arca che diviene una versione tascabile e chiusa del mondo intero, un mondo dove le divisioni sociali sono nette, e definitive. La terza classe dei poveracci, dei dannati, è a mezza via tra un lager nazista e i bassifondi di Dickens.
Pian piano vedremo gli altri vagoni, dall’Inferno dantesco andremo verso il paradiso, dalle “barrette di proteine” nere e inquietanti andremo al sushi, dallo sporco ovunque ai colori pastello di una scuola dove si impara ad onorare la “sacra locomotiva”. Per scoprire che il mondo è da incubo anche quando ci si avvicina al Paradiso. La cosa più inquietante è che, tra droghe sintetiche, pellicce, musica techno e alcool a fiumi, neanche nei vagoni di testa sembra abitare la felicità.
“Snowpiercer” è il film più costoso mai prodotto in Corea, anche se in coproduzione con gli Stati Uniti. Hollywood, in qualche modo, prende nuovo sangue. E la fantascienza passa anche da altre strade, non soltanto da quelle degli studios di Los Angeles. “Snowpiercer” è diretto da un coreano, ha un cast internazionale con attori americani, britannici, asiatici; è stato girato in gran parte in Europa. E’ un vero prodotto “globale”, e in qualche modo anche una speranza per il cinema che verrà. Bong Joon-ho conosce le regole del genere, ma non si piega alle convenzioni del blockbuster. Inietta forti dosi del suo stile personale nel film. Non addolcisce il suo sguardo spietato, mette in scena mutilazioni, e sa coreografare scontri mortali all’arma bianca come se fossero tragici balletti. Coltelli, spranghe, armi da fuoco, esplosivi, torce, corpi squarciati. Violenza, sì. Ma anche parodia sociale, elementi grotteschi – humour folle disseminato un po’ ovunque – e ambizioni filosofiche, in questo film in cui collidono, fecondamente, Oriente e Occidente.